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NASpI: CHI PUO' RICHIEDERLA

I lavoratori subordinati che hanno perso involontariamente il lavoro possono chiedere la NASpI. Tuttavia, solo determinate tipologie di recesso involontario dal rapporto di lavoro danno diritto all’indennità mensile di disoccupazione. Si tratta, principalmente, di tutti i licenziamenti comminati dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore, a cominciare dal licenziamento disciplinare, sia esso per giustificato motivo soggettivo che per giusta causa. Il diritto alla NASpI nasce anche in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Quali sono le altre tipologie di recesso che, pur non qualificate quali licenziamenti, possono portare il lavoratore ad acquisire il diritto all’indennità? Con quali modalità deve essere effettuata la richiesta?

La NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego) è una indennità mensile di disoccupazione che può essere richiesta dai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che hanno perso involontariamente il lavoro.

REQUISITI

Vi possono accedere tutti i lavoratori dipendenti compresi gli apprendisti, i soci lavoratori di cooperative, il personale artistico con rapporto di lavoro subordinato ed i dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni. Viceversa, non possono richiedere l’indennità i dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni, gli operai agricoli (sia a tempo determinato che a tempo indeterminato) ed i lavoratori extracomunitari con permesso di lavoro stagionale.

Inoltre, per poter avere accesso alla NASpI è necessario aver versato contributi contro la disoccupazione per almeno 13 settimane nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione.

 

COME FARE RICHIESTA

Per richiedere la NASpI, oltre a possedere i requisiti suindicati, l’ex lavoratore deve fare una domanda, esclusivamente in via telematica, all'INPS entro 68 giorni dalla:

- data di cessazione del rapporto di lavoro;

- cessazione del periodo di maternità indennizzato qualora la maternità sia insorta nel corso del rapporto di lavoro successivamente cessato;

- cessazione del periodo di malattia indennizzato o di infortunio sul lavoro/malattia professionale, qualora siano insorti nel corso del rapporto di lavoro successivamente cessato;

- definizione della vertenza sindacale o dalla data di notifica della sentenza giudiziaria;

- cessazione del periodo corrispondente all'indennità di mancato preavviso ragguagliato a giornate;

- dal trentottesimo giorno dopo la data di cessazione, in caso di licenziamento per giusta causa.

 

QUALI TIPOLOGIE DI RECESSO DANNO DIRITTO ALLA NASPI

Fatta questa premessa, è il caso di evidenziare le tipologie di recesso che danno diritto all’indennità di disoccupazione.

 

Come anticipato, il lavoratore ha diritto alla NASpI nel caso in cui subisca un recesso involontario dal rapporto di lavoro. Quindi il presupposto fondamentale è che non vi sia una volontà del lavoratore nel recedere anticipatamente dal contratto di lavoro.

 

Si tratta, principalmente, di tutti i licenziamenti comminati dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore, a cominciare dal licenziamento disciplinare, sia esso per giustificato motivo soggettivo che per giusta causa. In quest’ultimo caso, indipendentemente dalla colpa o dal dolo del lavoratore nel commettere l’infrazione sanzionata dal datore di lavoro. Ragion per cui, anche i licenziamenti causati da comportamenti irregolari del lavoratore come, ad esempio, il furto di beni aziendali ovvero l’assenza ingiustificata per un periodo legittimante l’apertura di un procedimento disciplinare, può far attivare, su richiesta del lavoratore, l’erogazione dell’indennità di disoccupazione da parte dell’INPS.

 

Sempre in tema di licenziamenti, il diritto alla NASpI nasce anche in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo: ad esempio, nel caso in cui il datore di lavoro voglia procedere ad una riorganizzazione aziendale che comporta la soppressione di una posizione lavorativa; ovvero in caso di riduzione del personale per crisi aziendale.

 

Sono qualificati quali licenziamento per giustificato motivo oggetto anche le risoluzioni dovute ad una inidoneità permanente, di natura fisica o psichica, del lavoratore a rendere la prestazione lavorativa, ovvero nel caso in cui il lavoratore non possa svolgere l’attività lavorativa in quanto è venuto meno un elemento indispensabile per lavorare: ad esempio, qualora il lavoratore, per motivi amministrativi, non possa più svolgere la propria attività lavorativa. Pensiamo ad una guardia giurata alla quale il prefetto abbia ritirato (o non rinnovato) il porto d’armi o un autista al quale è stata ritirata la patente per una grave infrazione.

 

Sono, altresì, equiparati al licenziamento, ai fini dell’attivazione dell’indennità di disoccupazione (NASpI), anche i recessi, da parte del datore di lavoro, dovuti:

- al superamento del periodo di comporto. Ciò è dovuto a quanto previsto dall’art. 2110 codice civile e dalla disposizione prevista dalla contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro. In particolare, quest’ultima disposizione va a definire le modalità di calcolo del periodo di comporto e le possibili esclusioni di malattie dal periodo stesso;

- alla volontà dell’azienda di concludere il rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo. Infatti, l’art. 42, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2015 (TU sui rapporti di lavoro), prevede la possibilità per le parti (datore di lavoro e lavoratore) di recedere dal contratto, ai sensi dell'art. 2118 del codice civile, al termine del periodo di apprendistato, senza fornire ulteriori indicazioni sulle specifiche motivazioni del recesso. Se nessuna delle parti recede, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

Vi sono, poi, altre tipologie di recesso che, se pur non qualificate quali licenziamenti, possono portare il lavoratore ad acquisire il diritto alla NASpI.

 

Parliamo, ad esempio, della risoluzione consensuale. Con detta risoluzione il lavoratore, ordinariamente, non ha diritto all’indennità di disoccupazione. Il diritto lo acquisisce soltanto in due specifici casi, per così dire straordinari:

1) la risoluzione consensuale avvenuta al termine della procedura obbligatoria di conciliazione, prevista per i lavoratori a tutele reale, ai sensi dell’art. 7, della Legge n. 604 del 1966;

2)la risoluzione consensuale derivata da un accordo dovuto ad un iniziale rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra sede distante più di 50 km dalla propria residenza, o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici. La motivazione, addotta dall’INPS per l’erogazione dell’indennità di disoccupazione (vedasi circolari n. 163/2003 - 108/2006 - 142/2012 - 44/2013), è stata quella di giustificare il rifiuto al trasferimento, in quanto la volontà del lavoratore può essere stata indotta dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro conseguenti al trasferimento in altra sede della stessa azienda.

 

Infine, queste sono le casistiche che possono far attivare la NASpI in caso di recesso per dimissioni del lavoratore o della lavoratrice:

- dimissioni presentate dalla lavoratrice madre nel periodo ricompreso tra i 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del figlio/a. Tale tutela non spetta alle lavoratrici domestiche (colf e badanti), in quanto non rientrano nell'ambito di applicazione degli artt. 54 e 55 del TU maternità (D.Lgs. n. 151/2001);

- dimissioni presentate dal lavoratore padre, nel caso in cui questi dia le dimissioni durante il primo anno di vita del figlio, sempreché abbia fruito del congedo di paternità obbligatorio, previsto dall’articolo 27-bis, del decreto legislativo n. 151/2001; ovvero nel caso in cui abbia fruito del congedo di paternità alternativo, previsto dall’articolo 28, del D.Lgs. n. 151/2001, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.

Infine, la NASpI spetta qualora il lavoratore o la lavoratrice si dimettano per giusta causa e cioè per una colpa imputabile al solo datore di lavoro.

 

Questi le ipotesi che l’INPS (con la circolare n. 163/2003) e la giurisprudenza hanno identificato:

- reiterato mancato pagamento della retribuzione (Cass. n. 648/1988);

- molestie sessuali sul luogo di lavoro (Trib. Milano, 16 giugno 1999) e pretesa di prestazioni illecite;

- modificazioni fortemente peggiorative delle mansioni, tali da pregiudicare la vita professionale del lavoratore (Cass. n. 13485/2014);

- mobbing, consistente in condotte vessatorie e reiterate poste in essere da superiori gerarchici o colleghi, le cui caratteristiche risiedono nella protrazione, nel tempo, di una serie di comportamenti e con la volontà di giungere ad una sorta di emarginazione del lavoratore;

- notevoli variazioni nelle condizioni di lavoro susseguenti alla cessione dell’azienda o ramo di essa, anche attraverso la forma dell’affitto (art. 2112 c.c.);

- spostamento del lavoratore da una unità produttiva all’altra senza che siano sussistenti le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” richieste dall’art. 2103 c.c.;

- comportamento ingiurioso del superiore gerarchico nei confronti dell’interessato (Cass. n. 1542/2000; n. 5977/1985);

- rassegnate durante la procedura di liquidazione giudiziale - dalla data della sentenza dichiarativa alla data di comunicazione del curatore di subentro o di recesso dai rapporti di lavoro (artt. 189 e 190 del D.Lgs. n. 14/2019, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza - circolare INPS n. 21/2023).

 

(Fonte Ipsoa)